Tutto nasce con l’emanazione della Direttiva 1999/70/CE che segna un punto importante: afferma che il lavoro a tempo indeterminato è la normale forma di lavoro in Europa e che i contratti a tempo determinato reiterati, devono essere giustificati da “ragioni oggettive” e devono corrispondere ad una “mera esigenza temporanea” e non ad esigenze “permanenti” del datore di lavoro.
In applicazione della direttiva 1999/70/CE l’Italia nel 2001 approva il decreto legislativo 368/01, il testo unico sul lavoro a tempo determinato, che sancisce, per i privati, il limite massimo di 36 mesi di lavoro a tempo determinato; se si supera questo limite la legge prevede la conversione del rapporto in tempo indeterminato.
Fin qui tutto normale fino a che la Corte di Giustizia Europea (CGE) sentenzia una cosa non da poco: la direttiva si applica anche ai dipendenti pubblici a tempo determinato.
Quindi anche le Pubbliche Amministrazioni (PA) devono rispettare i principi comunitari sul lavoro a tempo determinato.
Ma la Corte di Giustizia Europea (CGE) non si ferma qui. Con una serie di sentenze (fra le tante, v. sentenza Angelidaki, Adeneler, Affatato, Papalia) inizia a specificare sempre meglio cosa voglia dire “ragioni oggettive” e cosa “mera esigenza temporanea” (giustificative del lavoro a TD); la CGE stabilisce che in mancanza di leggi che prevedono l’automatica conversione del lavoro a TD ingiustificato in lavoro a tempo indeterminato, occorre una sanzione di legge “equivalente” ed efficace, cioè dissuasiva dell’abuso (di contratti a TD).
In poco tempo è chiaro a tutti che centinaia di migliaia di contratti a tempo determinato sottoscritti ogni anno dalla PA italiana (in particolar modo nella scuola) non rispettano quanto stabilito dalla CGE.
Inizia quindi un enorme contenzioso in Italia: centinaia di migliaia di insegnanti ed ATA, precari da anni (a volte da decenni) fanno causa al MIUR chiedendo la conversione a tempo indeterminato del loro rapporto di lavoro (a TD reiterato) ed un risarcimento economico per gli anni di precariato passati.
La Suprema Corte di Cassazione dichiara: nessun illecito, nessun risarcimento, neppure per chi è precario da 20 anni (Cass. n. 10.147 del 2012), rendendo carta straccia in Italia sentenze della CGE.
Ma la Sentenza 10.147/2012 della Cassazione non mette alcun freno: moltissimi Giudici di merito applicano direttamente le sentenze della CGE (e quindi i trattati UE, come impone la Costituzione agli artt. 117, 10, 11) continuano a condannare il MIUR a lauti (o meno lauti) risarcimenti del danno. Pochi Tribunali italiani osano la conversione del rapporto in tempo indeterminato, in molti chiedono che sia la CGE a dire (ancora!) l’ultima parola sulla questione.
A mandare da ultimo il quesito alla CGE ci pensa la Corte Costituzionale, nel frattempo sollecitata da molti Tribunali del Lavoro, fra cui quello di Napoli.
Il 26.11.14 con la sentenza Mascolo, la CGE sentenzia che il nostro ordinamento scolastico non rispetta le norme comunitarie in tema di contratti a tempo determinato perché, non indicendo concorsi (solo da ultimo) per oltre 10 anni, il MIUR ha usato i precari per coprire le sue esigenze “permanenti” che avrebbero dovuto essere temporanee e non ha riconosciuto loro la stessa progressione stipendiale, differenze retributive e via discorrendo.
A questo punto è intervenuta ancora la Corte Costituzionale per trarre le (sue) conseguenze di quanto stabilito dalla CGE; si precisa che la Corte Costituzionale potrebbe anche non dire più niente, dato che la competenza di ciò che è stabilito con atti dell’UE è stata trasferita coi trattati alla UE ed alla CGE.
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